Il capitale d’impresa passa dal capitale umano
Come gestire il personale? Come ricercarlo, come formarlo, come trattenerlo in struttura? Questo è uno dei temi più delicati, complessi e cruciali tra quelli che il titolare di studio deve affrontare.
Tocchiamo due punti fondamentali: primo, l’acquisizione della materia prima (l’estrazione mineraria); secondo, il suo potenziamento all’interno della struttura (la politura e incastonatura del diamante grezzo).
La prima domanda qui è: soft skills o hard skills? Per soft skill si intendono una serie di competenze trasversali (capacità di relazione e comportamentali che spaziano dalla proattività alla puntualità) che sono caratteristiche intrinseche della persona: quindi possono sì essere stimolate e sviluppate, ma serve un certo tipo di substrato per ottenere risultati in tali ambiti. D’altro canto, le hard skills si riferiscono a un insieme di competenze tecniche, acquisibili in ogni momento, come può essere la capacità di elaborare un cedolino. Capite bene che, in quanto procedure lavorative, queste skills sono relativamente semplici da insegnare, mentre sulle soft skills, frutto delle attitudini ed esperienze del singolo soggetto, è ben più arduo intervenire.
Di conseguenza, la persona con il giusto atteggiamento e stile di lavoro, orientato agli obiettivi, sarà facile da formare anche dal punto di vista tecnico. Non così il contrario: una persona abile dal punto di vista tecnico potrebbe non riuscire ad acquisire quelle caratteristiche personali che magari le permettono, banalmente, di inserirsi al meglio all’interno dello studio, a livello di rapporto con i colleghi o di allineamento con il modus operandi.
Il secondo passo è lo sviluppo delle competenze delle nostre persone. Questo passo non è una tantum, ma piuttosto un processo continuo e ciclico di comunicazione, lavoro e riscontro. Formare persone significa fornire strumenti di lavoro, indicazioni operative, affiancamento nei processi. Ovviamente, se investire sulle persone è fondamentale (perché significa investire sullo studio), è anche un rischio, e si chiama rischio imprenditoriale. È chiaro che se una persona cresce, diventa più appetibile per il mercato, è più attraente agli occhi di altre realtà, quindi bisogna creare quell’ecosistema interno tale per cui le persone rimangono.
La chiave per un ecosistema di questo tipo, e arriviamo al terzo passo, è creare una cultura della comunicazione. Non sto parlando di un confronto sporadico, ma di un processo continuo di comunicazione e riscontro. Va quindi attivato un ciclo strutturato di comunicazione (feedback), prestabilendo una serie di momenti all’interno dei quali condividere lo status del rapporto di lavoro. Il confronto dovrà essere bidirezionale: non dovete limitarvi a commentare la prestazione del collaboratore, ma dovete capire da lui:
– come si trova all’interno dell’ambiente di lavoro;
– quali logiche lavorative vorrebbe modificate;
– quali obiettivi personali si pone;
– quali azioni vorrebbe che noi introducessimo.
Solo così riuscirete a potenziare in itinere un rapporto che accelererà di molto l’apprendimento d’ognuno e consente di creare un ambiente lavorativo accogliente, stimolante e produttivo.
In breve: è importante avere in ufficio molti cavalli da corsa, ma per consentire al purosangue di sprigionare tutta la sua potenza, gli devo dare una pista su cui correre. Cerchiamo di capire se abbiamo fatto davvero tutto il possibile per mettere i collaboratori nelle condizioni di darci il massimo, e poi saremo nelle condizioni di esigere risultati. Ma vedrete che arriveranno da soli.
L’AUTORE

LORENZO LOSI
Consulente direzionale BDM Associati. Esperto in organizzazione e sistemi di controllo presso Studi Professionali e aziende