Il Timesheet come un faro nella notte

di Lorenzo Losi

Consulente Direzionale BDM Associati

Articolo pubblicato su Ratio Quotidiano il 07.02.2019

Cosa vende lo studio professionale? Consulenza, competenza, elaborazione dati, un paziente orecchio per i clienti.

Esiste però una lente capace di ricondurre le attività a un comune denominatore misurabile e confrontabile: il tempo.

Niente di nuovo forse, ma la grande maggioranza degli studi non utilizza un sistema di timesheet e i pochi che lo fanno, tendono a utilizzarlo per valorizzare le attività, senza cogliere il potenziale gestionale che invece esprime.

Cosa frena questa iniziativa?

Il primo elemento che agisce da forte disincentivo è che si è rotta la consequenzialità tra ore dedicate al lavoro e compenso economico: infatti il mercato oggi lavora prevalentemente a forfait. Quindi, anche a fronte di una struttura diligente nel rendicontare le ore, i mille dubbi su come valorizzarle fanno si che il timesheet ricopra spesso la triste funzione di rammaricare il titolare, cosciente delle difficoltà nel sensibilizzare il cliente.

Altra difficoltà fondamentale è la “digeribilità” del sistema di rilevazione dei tempi per la struttura che, se non adeguatamente coinvolta, rischia di percepirlo come un controllo del proprio operato.

Terzo aspetto è la fruibilità del dato poiché, senza termini di paragone (benchmark) i dati consuntivi dei tempi sono difficilmente interpretabili e potenzialmente fuorvianti. Infatti, si rischia di confondere le “dispersioni” causate dai clienti con quelle causate dallo studio che, se conteggiate, rischiano di rappresentare un problema competitivo, oltre che mascherare la reale causa del problema.

Tuttavia, l’importanza di dati numerici che portino oggettività e consapevolezza sull’operato dello studio è innegabile. Forse vi stupirà, ma la chiave di volta per l’implementazione di un modello gestionale fondato sulla valorizzazione del tempo è un cambio di prospettiva. È necessario spostare l’ottica dalla sola consuntivazione alla preventivazione, a cui far seguire il controllo delle performance.

Quando accompagniamo gli studi, il primo passo è declinare l’operato (cosa si farà per ogni cliente) in “budget orari” ovvero obiettivi di performance raggiungibili e dove possibile fondati su benchmark.

I vantaggi sono molteplici. La condivisione di obiettivi analitici con il personale permette la digeribilità del sistema e la responsabilizzazione sul risultato.

Inoltre, l’oggettività del benchmark permette di distinguere le cause delle dispersioni e la temporalità dell’analisi apre il ventaglio delle potenzialità del dato. Infatti, la lettura del sistema avviene “in progress”, ovvero mese dopo mese, grazie al raffronto tra la pianificazione e i consuntivi dei tempi rilevati.

Con l’emergere delle dispersioni, l’indagine sulle cause permette l’individuazione dei correttivi gestionali, se avessero cause endogene, o commerciali se causate dal cliente. Ricordiamoci che sia la valorizzazione delle attività, sia la riduzione dei tempi richiesti dai clienti, sono fattori nel miglioramento della produttività.

Il tutto è poi alla base del miglioramento continuo delle performance attraverso la periodica revisione degli obiettivi e dei processi.

Ecco quindi che, come un faro nella notte, il timesheet può diventare l’appoggio fondamentale per governare la nave e capire quando cambiare la rotta.

L’AUTORE

LORENZO LOSI

Consulente direzionale BDM Associati. Esperto in organizzazione e sistemi di controllo presso Studi Professionali e aziende