Perché Alasdair vi impedisce di migliorare

di Lorenzo Losi

Consulente Direzionale BDM Associati

Articolo pubblicato su Ratio Quotidiano il 25.07.2019

“La mia avventura professionale è incominciata alla fine degli anni ‘90, appena abilitata. Con l’entusiasmo del caso, ho affittato un piccolo ufficio e i primi amici e parenti mi hanno dato fiducia. Pian piano il passaparola ha fatto sì che i clienti aumentassero e in pochi anni l’ufficio contava 5 dipendenti. Ero galvanizzata dal mio successo e sembrava nulla potesse andare storto.

Tuttavia, con l’arrivo della crisi, mi è crollato il cielo in testa. Le difficoltà economico-finanziarie dei miei clienti hanno portato alcuni di loro a chiedere pazienza nei pagamenti. Il debito morale che sentivo nei confronti di chi mi ha dato fiducia in questi anni, mi ha portato a concederla. Qualche cliente è inevitabilmente caduto vittima della congiuntura sfavorevole e numerosi tra i superstiti hanno avanzato richieste di sconto. La paura di perdere il cliente mi ha portato a concederli, ma il lavoro non ha fatto altro che aumentare. Di colpo il mio reddito si è sgretolato… Oggi devo capire se posso recuperare la situazione”.

Purtroppo, per tanti professionisti e imprenditori la situazione descritta racconta una storia dolorosamente familiare.

Viste le difficoltà, la collega si è rimboccata le maniche e ha provato a compensare il mancato risultato con tutto il suo impegno, riversando ore su ore nello studio e moderando il proprio compenso per rispettare gli impegni con la struttura. Se temporaneo, questo fa parte del rischio imprenditoriale del condurre un’attività, ma a lungo andare bisogna alzare la testa dalla scrivania e rivalutare l’approccio. Tuttavia, come evidenza la Teoria dell’area di comfort formulata da Alasdair White nel 2008, questa non è affatto un’impresa semplice.

Alla base troviamo un meccanismo di sopravvivenza: la psiche umana tende a mitigare le circostanze rendendole quasi accettabili, cosa che rischia di prolungare nel tempo situazioni di oggettiva sofferenza. Se, come mi auguro, siete al mare, provate a mettere un piede nell’acqua. All’inizio potreste sentire freddo, ma dopo pochi secondi la sensazione cambia, il corpo si abitua. La temperatura dell’acqua non è cambiata, ma la propria percezione sì.

Cambiare il proprio approccio richiede una sana dose di sforzo e questo normalmente allunga i tempi necessari per prendere una decisione.

Con viso contrito, la collega mi ha poi confessato che negli anni la pazienza si è trasformata in frustrazione, ma la “vergogna” di non riuscire a rialzarsi da sola ha ulteriormente prolungato l’incubazione del processo di rilancio.

Il punto di partenza è il rendersi conto che alcune strutture stanno operando con grande soddisfazione anche nel mercato odierno. Questo evidenzia la possibilità di individuare in modo preciso i fattori di successo. Questi studi, senza eccezione, hanno da tempo adottato un approccio più tipicamente aziendale, affrontando in modo sistematico le necessità gestionali, commerciali, di adattamento tecnologico e di coinvolgimento delle persone. È ovvio che gestire tale complessità con efficacia non può essere fatto in autonomia, perché nessuno è tuttologo. Il bravo imprenditore, e oggi anche il bravo professionista, cerca sul mercato le competenze necessarie al proprio successo. Evolvere richiede sforzo, ma non farlo è davvero un’opzione? Il modello di mercato è cambiato: se non è possibile cambiare il verso della corrente, non ci resta che decidere se tornare in porto o se spiegare le vele e imparare a navigare.

L’AUTORE

LORENZO LOSI

Consulente direzionale BDM Associati. Esperto in organizzazione e sistemi di controllo presso Studi Professionali e aziende